Diritto di Famiglia

In ipotesi di modifica delle condizioni di divorzio sussiste – ai sensi degli art. 8 e 9 Regolamento UE 2201/2003 - il difetto di giurisdizione del Tribunale italiano quando il minore risiede stabilmente all’estero

In ipotesi di modifica delle condizioni di divorzio... [..]

  • Data: 09 Febbrario 

 

Il caso.

Con ricorso per la modifica delle condizioni di affido di minore ex art. 337 quinquies c.c., adiva il Tribunale di Livorno, volontaria giurisdizione per sentire dichiarare “l’affidamento esclusivo del minore  al ricorrente con attribuzione dell’esclusivo esercizio della responsabilità anche con riferimento alle decisioni di maggiore interesse relative alla educazione, istruzione e salute ed a modifica della condizione porre a carico della madre l’obbligo di corrispondere , a titolo di mantenimento del figlio, una somma di € 300,00 mensili, annualmente rivalutabili secondo gli indici Istat, da versarsi entro il 10 di ogni mese; nonché di contribuire, nella misura del 50% alle spese mediche e scolastiche straordinarie.”

Si costituiva la ex moglie, madre del minore, a mezzo della difesa degli avv.ti Carlo Cavalletti e Martina Marianetti contestando in toto i fatti storici addotti ma rilevando come la controparte, precedentemente all’attuale giudizio, aveva avanzato richiesta di ritorno ai sensi della Convenzione dell’Aja dinanzi alle Autorità Centrali d’Italia.

Il procedimento era stato avviato in Romania e nell’aprile 2020 e si concludeva in primo grado con il rigetto della istanza avanzata dal padre, il quale adiva il secondo grado (Corte di Appello di Bucarest) con conferma nuovamente della statuizione in primo grado (quindi rigetto della domanda avanzata dallo stesso).

In forza di tali fatti i legali Cavalletti e Marianetti eccepivano il difetto di giurisdizione della autorità italiana ai sensi del Regolamento CE sopra menzionato ed al combinato disposto delle norme vigenti in materia internazionale di cui alla Legge n. 218/1995 (nello specifico in ordine agli articoli 3 e 4 che disciplinano i criteri in base al quale sussiste la giurisdizione del giudice italiano).

Nello specifico, l’articolo 10 del rubricato Regolamento CE si limita alla trascrizione del comma 1 del medesimo articolo tralasciando completamente i successivi paragrafi.

articolo (ferme la riserva sopra espressa di mancata applicazione).

Analizzando il dato letterale dell’articolo 10 citato da controparte, la competenza dell’autorità giurisdizionale dello Stato Membro nel quale il minore aveva la residenza abituale (nel caso de quo in Italia) viene conservata sino a quando il minore non abbia trasferito la residenza nell’altro stato membro ma deve sussistere insieme ad altri requisiti (indicati nei successivi punti a e b).

Il punto a) vede il caso di accettazione di trasferimento o mancato rientro e non attiene al caso specifico mentre il punto b) attiene al soggiorno del minore nell’altro Stato membro per almeno un anno da quando la persona titolare del diritto di affidamento (in questo caso il padre) ha avuto conoscenza o avrebbe dovuto averne del luogo in cui si trova il minore (che deve essere quindi ivi integrato) che, coniugato al punto i) (circa la mancata presentazione di domande di ritorno dello stesso minore) escluderebbe quindi la giurisdizione del giudice italiano.

Quindi si verte quindi in una ipotesi di combinato disposto del punto b) e del successivo punto i) e per tale motivo, sussistendo tutti i requisiti ivi previsti, si formula formale eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano a favore di quello rumeno.

Sempre la difesa esperita dagli avvocati Carlo Cavalletti e Martina Marianetti ritenevano applicabile al caso di specie anche l’articolo 9 del succitato Regolamento CE che disciplina la ultrattività della competenza della precedente residenza del minore (limitandola a mesi tre).

Controparte avrebbe potuto adire la giurisdizione rumena con apposita istanza collegata a quella presentata (quindi con apposito strumento utilizzato da controparte) per la tutela dell’esercizio effettivo del diritto di visita ai sensi del capo IV Articolo 21 della Convenzione dell’Aja del 25.10.1980 ma nessuna domanda risulterebbe essere stata presentata.

Il Tribunale di Livorno, in composizione collegiale, accoglieva l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione rilevando come “l’Autorità giudiziaria rumena, decidendo in grado di appello sull’istanza di rientro formulata dal ricorrente, ha rigettato tale istanza in data 13/07/2021 sulla base dell’art.13 della Convenzione dell’Aja ritenendo non illecito il mancato rientro del minore in Italia e quindi dovranno applicarsi gli artt. 8 e 9 del Regolamento UE 2201/2003, che prevede quale competenza generale quella dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente alla data in cui il Tribunale di Livorno è stato adito.  Agli atti risulta che il minore risiede da circa due anni in Romania, ove frequenta la scuola e dove risulta integrato nell’ambiente, come si evince anche dall’ascolto del minore stesso.

Peraltro, ai sensi dell’art. 9 del predetto Regolamento si rileva come siano trascorsi oltre tre mesi dal trasferimento del minore e ciò conferma la giurisdizione dello Stato ove attualmente si trova il minore stesso”.

 

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Commento Avv. Carlo Cavalletti e Avv. Martina Marianetti

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Sono ripetibili gli assegni di mantenimenti versati al coniuge separato o ex coniuge in presenza di sentenza che accerti la non debenza ex tunc” (Cass. Sez. Unite 08/11/2022, n. 32914)

Sono ripetibili gli assegni di mantenimento... [..]

  • Data: 26 Gennaio 

 

La sentenza oggetto del commento esamina la giurisprudenza di legittimità riguardo la ripetibilità delle somme corrisposte in favore del coniuge separato o ex coniuge che si rivelino, in un successivo giudizio, non dovute per vari titoli, indicando così un principio generale di ripetibilità o meno di dette somme.

MASSIMA: "In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere: a) opera la "condictio indebiti" ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione "del richiedente o avente diritto", ove si accerti l'insussistenza "ab origine" dei presupposti per l'assegno di mantenimento o divorzile; b) non opera la "condictio indebiti" e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, "delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)", sia se viene effettuata una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purchè sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica; c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità".

i fatti per cui era causa: La vicenda nasce da un giudizio di revisione dell’assegno divorzile corrisposto ad A.A., ridotto da 500 a 400 euro dal Giudice Istruttore, la sentenza veniva appellata da A.A. onde pervenire al ripristino dell’originario importo, e da B.B., in via incidentale, onde procedere col recupero delle somme corrisposte e non dovute. La Corte d’Appello rigettava l’appello di A.A. ed accoglieva quello di B.B., sentenza avverso la quale A.A. proponeva appello per Cassazione. Il Primo presidente, stante l’importanza del tema ed il contrasto giurisprudenziale, assegnava la questione al vaglio delle sezioni unite.

Passati brevemente in rassegna i fatti che hanno dato origine alla causa di cui ci si occupa occorre passare all’esame dei principi di diritto esposti nella sentenza.

Ini primo luogo la Suprema Corte rileva come l’assegno di mantenimento disposto in sede di separazione e l’assegno divorzile siano connotati da una duplice natura: da una parte quella di misura perequativa del reddito in favore del coniuge economicamente più debole, dall’altra è in parte una misura di solidarietà volta ad assicurare il soddisfacimento dei bisogni essenziali per il coniuge più debole, si parla perciò di natura alimentare dell’assegno.

La Corte esamina poi la natura della sentenza che dispone l’assegno a carico di uno dei due (ex) coniugi, affermando che si tratta di una sentenzaz “determinativa”, in quando dispone la misura di un diritto che il Giudice trova già esplicitato nell’ordinamento, domandando allo stesso di valutare la misura dello stesso.

Passando in rassegna la giurisprudenza di legittimità inerente la ripetibilità delle somme erogate e titolo di assegno mantenimento che venga successivamente ridotto o revocato in toto, la Corte osserva quanto segue.

Una parte della giurisprudenza, specialmente risalente, interpretava la sentenza di revoca o diminuzione come una statuizione ex nunc, per cui l’assegno veniva revocato o diminuito a far data dalla pronuncia, lasciando impregiudicati quanto percepito dall’ex coniuge, ancorché si trattasse di somme non dovute ab origine (cfr. Cass. 2428/1962, 11863/2004, 15186/2015).

Già nel 2002, tuttavia, si è manifestata una leggera inversione di tendenza, la sentenza n. 13060/2002 ha affermato il principio di ripetibilità delle somme versate come assegno di mantenimento, qualora questo venga successivamente ridotto e qualora, per l’importo dello stesso, si possa facilmente dedurre la natura non prettamente alimentare dello stesso.

Con la sentenza del 2002, dunque, da una parte si affermava la piena irripetibilità delle somme versate a titolo di mantenimento quando, per la misura delle stesse, l’assegno si potesse configurare come assegno alimentare, dall’altra la ripetibilità delle somme versate in eccesso negli altri casi.

Ancora, la recente sentenza 28646/2021 ha ulteriormente descritto i confini entro cui la ripetibilità di dette somme può essere concessa.

In particolare la sentenza afferma quanto segue: in caso di revoca dell’assegno di mantenimento per insussistenza dei presupposti ab origine, si ha diritto non solo alla restituzione delle somme, bensì anche alla corresponsione degli interessi maturati, con esclusione, tuttavia, dell’applicazione dell’art. 2033 c.c..

Tale assetto dei diritti è dovuto ad un parziale mutamento nell’interpretazione degli interessi e doveri sottesi alla corresponsione dell’assegno di mantenimento, l’irripetibilità dello stesso è giustificabile solo sul piano equitativo, motivo per cui nel bilanciamento degli interessi e dei diritti si fa riferimento alla natura prettamente alimentare dell’assegno o meno: laddove essa non sia predominante il lato solidaristico cederà il passo alle ragioni di tipo legale e di certezza delle decisioni.

Arrivando dunque alla pronuncia in oggetto, che ponte un punto fermo sul contrasto giurisprudenziale tra la ripetibilità e la non ripetibilità dell’assegno di mantenimento, ne enunciamo qui il principio di diritto, frutto dell’evoluzione sin qui tracciata.

In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere: a) opera la "condictio indebiti" ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione "del richiedente o avente diritto", ove si accerti l'insussistenza "ab origine" dei presupposti per l'assegno di mantenimento o divorzile; b) non opera la "condictio indebiti" e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, "delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)", sia se viene effettuata una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purchè sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica; c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità

 

 

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Spetta l’assegno divorzile alla moglie che lavora come colf se la rinuncia al precedente lavoro era una scelta dei coniugi avvenuta dopo il matrimonio (Corte di Cassazione – ordinanza n. 29627/2022 - sez. Prima civile).

Spetta l'assegno divorzile alla moglie che  [..]

  • Data: 21 Novembre

 

Il caso concerne la decisione della Suprema Corte di Cassazione che decide in merito ad un ricorso promosso da un ex marito che sosteneva il venir meno dell’assegno divorzile in quanto la donna aveva un proprio lavoro e risparmi presso la banca.

I giudici respingono il ricorso fondando la propria sentenza sull’orientamento già espresso dalle Sezioni Unite (sentenza 18287/2018) secondo cui «ai fini dell’attribuzione della quantificazione dell’assegno divorzio deve tenersi conto delle risorse economiche di cui dispone l’ex coniuge più debole e se tali risorse siano sufficienti ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa ed una adeguata autosufficienza economica nonostante la sproporzione delle rispettive posizioni economiche delle parti».
È giusto ricordare che l’assegno divorzile non deve garantire lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio, ma ha comunque funzione perequativa/compensativa nel momento in cui emerge che uno dei due coniugi ha rinunciato alle proprie aspettative professionali per dedicarsi alla famiglia.

Nel caso la donna, che si era sposata a diciotto anni e separata dopo trenta anni, aveva lasciato il suo lavoro per attendere alle esigenze familiari così che un lavoro precario (quale quello svolto) e non confacente alle proprie attitudini lavorative/professionali non può far venir meno l’assegno da parte dell’ex coniuge.

 

Avv. Martina Marianetti

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Ordinanza Corte di Cassazione 22616 anno 2022 in ordine alla determinazione dell’assegno di mantenimento anche in considerazione dei redditi sottratti al fisco.

Ordinanza Corte di Cassazione 22616 anno 2022 [..]

  • Data:07 Settembre

 

Si propone commento della ordinanza della Corte di Cassazione la quale chiarisce come i redditi e le consistenze economiche da valutare in un giudizio di separazione nella determinazione dell’assegno di mantenimento debbano necessariamente ricondursi anche a somme non dichiarate.

Il caso attiene a una separazione promossa presso il Tribunale d Milano nel cui procedimento veniva dichiarato l’addebito nei confronti della marito e disposta l’assegnazione della casa alla moglie che vi continuava a vivere con il figlio maggiorenne.

Il G.I. disponeva altresì il versamento di una somma mensile a favore della madre e un assegno a favore del figlio non economicamente sufficiente.

Tuttavia la moglie, ritenuto non confacente quanto disposto, ricorreva in appello rilevando come nella decisione il G.I. non aveva tenuto conto dei redditi dell’attività professionale del marito e non dichiarati al fisco.

La Corte di Appello rigettava il ricorso ritenendo che le eventuali somme non dichiarate non potevano essere utilizzate come parametro di riferimento e che quindi non vi era la necessità di accertamenti da parte della polizia tributaria in ordine al reale reddito del marito.

La Corte di Cassazione, nell’accogliere le motivazioni di parte ricorrente,  stabilisce che:

  • ai fini della determinazione degli assegni di mantenimento del coniuge e dei figli conta il reale tenore di vita quando gli stessi vivevano insieme, a prescindere, dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali quindi anche quelli occultati dal fisco;
  • le indagini della polizia tributaria hanno la funzione di far emergere tali redditi e il Giudice ha la possibilità di disporre d’ufficio per tale mezzo di prova volto all’accertamento delle risorse sottratte al fisco;
  • se quindi la parte offre elementi specifici e concreti a sostegno delle indagini della polizia tributaria il giudice non può rigettare la richiesta e deve fondare la propria domanda su elementi acquisiti.

Commento Avv. Martina Marianetti

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