È oramai consolidato in giurisprudenza (anche di Cassazione) il seguente principio di diritto: “In tema di pubblico impiego privatizzato, l'attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell'ambito dell'organizzazione dell'ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l'attività lavorativa quando l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all'effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, ai fini del riconoscimento del buono pasto ad un dipendente con turni 13/20 e 20/7, aveva collegato le "particolari condizioni di lavoro" di cui all'art. 29 del c.c.n.i. del comparto Sanità del 20 settembre 2001, al diritto alla fruizione della pausa di lavoro, a prescindere che la stessa avvenisse in fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto o che il pasto potesse essere consumato prima dell'inizio del turno)” (così, per esempio, Cass. 1° marzo 2021, n. 5547).
Il diritto al buono pasto è condizionato all'effettuazione della pausa pranzo, e, quindi, spetta a coloro che, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbiano diritto ad un intervallo non lavorato (la pausa).
Se il datore di lavoro non mette a disposizione la mensa (per esempio, la sera o nei giorni festivi, come la domenica), il lavoratore ha diritto al buono pasto, da calcolarsi ai sensi degli artt. 33 del DPR 270/1987 e 68, comma 2, del DPR 384/1990: <<Il costo del pasto determinato in sostituzione del servizio mensa non può superare £.10.000. Il dipendente è tenuto a contribuire in ogni caso nella misura fissa di £. 2000 per ogni pasto>>. Tali importi, convertiti in euro, corrispondono a € 1,03 a carico del lavoratore e € 4,13 a carico del datore di lavoro.
In conclusione un dipendente di una struttura pubblica che lavora su turni della durata di più di sei ore per il quale il datore di lavoro non garantisce (a pranzo e/o a cena) il servizio mensa, può ottenere il riconoscimento, per il futuro, del diritto al buono pasto, e, per il passato, del diritto al risarcimento del danno per i buoni che sarebbero stati dovuti e che non sono stati pagati.
Ormai sono numerose e costanti le sentenze dei vari Tribunali che riconoscono il diritto alla carte del docente e al relativo importo nominale per ciascun anno di attività.
Facciamo chiarezza sulla questione di diritto.
L'art. 1, comma 121, della L. 107/2015 ha previsto che: “Al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la carte elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado dell'importo nominale di euro 500 annui per ciascun anno scolastico.
Tale somma può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa delle scuole e contesto nazionale di formazione di cui al comma 124. La somma di cui alla carta non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile (cfr. Tribunale di Asti, Sentenza n. 61/2023 del 17-03-2023).
La Corte di Giustizia , nella causa C-450/2021, ha affermato che: “La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero dell'istruzione, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell'importo di € 500 all'anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, mediante una carta elettronica che può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, ad altre attività di formazione e per l'acquisto di servizi di connettività al fine di assolvere l'obbligo di effettuare attività professionali a distanza”. Sempre per tale argomento è importante l’indirizzo tracciato dalla Corte di Giustizia secondo cui l'indennità ex art. 1 c. 121 L. 107/2015 deve essere considerata come rientrante tra le «condizioni di impiego» ai sensi della clausola 4.1 e ciò in quanto “conformemente all'articolo 1, comma 121, della legge n. 107/2015, tale indennità è versata al fine di sostenere la formazione continua dei docenti, la quale è obbligatoria tanto per il personale a tempo indeterminato quanto per quello impiegato a tempo determinato presso il Ministero, e di valorizzarne le competenze professionali. Inoltre, dall'adozione del decreto legge, il versamento di detta indennità mira a consentire l'acquisto dei servizi di connettività necessari allo svolgimento, da parte dei docenti impiegati presso il Ministero, dei loro compiti professionali a distanza”, valorizzando altresì il fatto che la carta elettronica “dipende in modo determinante dall'effettiva prestazione del servizio” desumibile dalle previsioni normative secondo cui essa non può essere utilizzata in caso di sospensione per motivi disciplinari, viene revocata nel caso di interruzione del rapporto di lavoro nel corso dell'anno scolastico e deve essere restituita all'atto della cessazione del servizio. La Corte ha infine escluso la configurabilità di ragioni oggettive che possano giustificare la disparità di trattamento tra docenti di ruolo e non di ruolo, ricordando che “la nozione di «ragioni oggettive» richiede che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s'inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda a una reale necessità, sia idonea a conseguire l'obiettivo perseguito e risulti necessaria a tal fine”, e che “tali elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti alle medesime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro, mentre non può dunque costituire di per sé una ragione oggettiva “il riferimento alla mera natura temporanea del lavoro degli impiegati amministrativi a contratto”, in quanto “ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro sia sufficiente a giustificare una differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato priverebbe di contenuto gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell'accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato" (cfr. Tribunale di Asti, Sentenza n. 61/2023 del 17-03-2023).
Quindi si ritiene che sia diritto dei docenti precari richiedere la carta del docente e al relativo trattamento economico alla cui richiesta il Ministero non potrà opporsi.
Ai fini della riqualificazione di un rapporto...[..]
Data: 21 Febbrario
Ordinanza Corte di Cassazione n. 1095 anno 2023: “Ai fini della riqualificazione di un rapporto di lavoro autonomo in uno di natura subordinata è possibile fare ricorso ad elementi di carattere sussidiario laddove non sussista la prova diretta dell’eterodirezione ”.
Il caso.
Un consulente informatico, in forza di plurimi contratti di lavoro autonomo, aveva svolto, per conto della committente, attività presso gli uffici giudiziari di Arezzo.
Il Tribunale di Pisa, in primo grado, aveva rigettato la domanda di riqualificazione del rapporto quale subordinato confermando la natura autonoma del rapporto istante la mancata prova dell’eterodirezione del prestatore di lavoro.
Veniva promosso appello rilevando come il giudice di primo grado aveva trascurato indizi idonei a integrare la prova della natura subordinata e sul punto la Corte di Appello, riformando la sentenza, accoglieva il ricorso sulla base dei seguenti presupposti:
a) i contratti di lavoro autonomo erano generici e negli stessi non si rilevava elementi in contrasto con la subordinazione;
b) la retribuzione veniva parametrata al lavoro svolto;
c) gli strumenti di lavoro erano del datore di lavoro e non vi era alcun rischio economico per il lavoratore;
d) vi era un controllo sulle ore svolte dal lavoratore.
Seguiva ricorso in Cassazione da parte del datore di lavoro che rigetta l’appello riferendo come, a fronte di contratti di lavoro autonomo dei quali non si riesce a stabilire la etero-direzione, la natura subordinata del rapporto può trarsi da alcuni indici quali appunto l oggetto generico della collaborazione indicato nel contratto, il compenso commisurato alle giornate lavorative, l’assenza di rischio economico per il lavoratore, il controllo orario e giornaliero della prestazione del collaboratore da parte del committente e la disponibilità ad operare nelle fasce orarie richieste
Il caso concerne un lavoratore che aveva inviato un messaggio ad un suo collega per comunicare la assenza dal lavoro e ritardava nell’inviare il certificato di malattia.
Chiamato a giustificare tale aspetto il lavoratore aveva riferito che l’eventuale problematica relativa alla consegna del messaggio era da ascrivere a problemi informatici e non alla sua responsabilità.
La Corte di Appello, nel procedere al giudizio di proporzionalità della sanzione irrogatagli, aveva ritenuto la condotta del lavoratore non grave da giustificare il licenziamento dichiarandone quindi illegittimo il recesso.
La società datrice di lavoro ricorreva in Cassazione ritenendo palese la violazione degli art. 173, 222 e 225 del CCNL nella specie applicabile, vale a dire il CCNL Commercio per i dipendenti da aziende del terziario della distribuzione e dei servizi.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso affermando che il giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottata "sono demandati all'apprezzamento del giudice di merito, che - anche qualora riscontri l'astratta corrispondenza dell'infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente - è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto, come nella specie, da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità".