Il G.E. ha il dovere di verificare se il Giudice del monitorio abbia svolto il controllo d’ufficio sull’abusività delle clausole del contratto posto alla base del decreto ingiuntivo emesso, in caso di esito negativo concederà al debitore termini[]
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- Data: 30 Maggio;
Il G.E. ha il dovere di verificare se il Giudice del monitorio abbia svolto il controllo d’ufficio sull’abusività delle clausole del contratto posto alla base del decreto ingiuntivo emesso, in caso di esito negativo concederà al debitore termini per opposizione ex art. 650 c.p.c (Corte di Cassazione Sez. Unite n. 9479 anno 2023)".
Si aprono nuovi scenari anche per il debitore che non ha opposto il decreto ingiuntivo e che ha l’abitazione all’asta.
Ed infatti la Corte di Cassazione con la sentenza Sez. Unite n. 9479 anno 2023 ha stabilito che il G.E. ha il dovere di verificare se il Giudice del monitorio abbia svolto il controllo d’ufficio sull’abusività delle clausole del contratto posto alla base del decreto ingiuntivo emesso, in caso di esito negativo concederà al debitore termini per opposizione ex art. 650 c.p.c.
Tale decisione è stata resa all’interno di una causa relativa ad un decreto ingiuntivo passato in giudicato, sulla base del quale era stata portata a termine la procedura di esecuzione, con ordinanza di distribuzione dichiarata esecutiva.
Parte debitrice contestava dapprima il progetto di distribuzione del G.E., poiché fondato su un decreto ingiuntivo emesso da Giudice territorialmente incompetente, ciò perché scelto sulla base di una clausola derogatrice del foro del consumatore, per sua natura abusiva e quindi nulla.
L’esecutata proponeva ricorso per Cassazione sostenendo la violazione e/o errata interpretazione della direttiva 93-13 e dell’art. 19 del TUE, con riferimento all’effettività della tutela del consumatore, poiché il Tribunale aveva rigettato l’opposizione ex art. 650 c.p.c. in quanto tardivamente proposto.
MASSIMA: Il giudice dell’esecuzione, in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo di abusività delle clausole, ha il dovere, da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito, di controllare la presenza di eventuali clausole abusive, anche attraverso una sommaria istruttoria. In caso di esito positivo informerà le parti ed avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c., non procedendo alla vendita sino al decorso del termine o all’esito dell’opposizione.
MASSIMA 2: Se il debitore esecutato ha proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.al fine di far valere l’abusività delle clausole il giudice adito la riqualificherà come opposizione ex art. 650 c.p.c. con conseguente translatio iudicii.
In via preliminare dobbiamo rilevare che la ricorrente ha rinunciato al ricorso, tuttavia il Pubblico Ministero ha presentato le proprie conclusioni, chiedendo che venga emanato il principio di diritto ai sensi dell’art. 363 c.p.c., in quanto questione di particolare rilevanza e stante la grave incertezza interpretativa, specie a seguito delle sentenze della CGUE del maggio 2022, tutte inerenti ad analoghe vicende ed inerenti alle sorti del giudicato nazionale dinanzi alla normativa Europea.
La questione è stata dunque affidata alle Sezioni Unite che ha provveduto all’analisi del caso, pronunciandosi come segue.
La pronuncia della Corte prende le mosse dalle sentenze della CGUE, in particolare dalla vicenda SPV/Banco di Desio ed investe il tema dell’effettività della tutela del consumatore di fronte a contratti sottoscritti con un professionista, in particolare a riguardo della presenza o meno di clausole abusive nei summenzionati contratti.
Il Giudice di Lussemburgo ha infatti argomentato che, al fine di ovviare allo squilibrio esistente tra consumatore e professionista, il giudice nazionale adito è tenuto a esaminare il carattere abusivo di una clausola contrattuale.
A tal proposito la CGUE ha osservato che considerare avvenuto tale giudizio sull’eventuale abusività delle clausole, pur in assenza di una concreta statuizione in merito all’interno di un atto giudiziario, come può essere un decreto ingiuntivo, può privare di contenuto la tutela concessa al consumatore dalla direttiva 93-13, imponendo dunque che sia il giudice dell’esecuzione a valutare questo specifico elemento, anche per la prima volta.
Secondo il diritto dell’Unione, infatti, la carenza di attivazione del giudice di prime cure investe il carattere di giudicato formatosi sul titolo esecutivo, rendendo la decisione insuscettibile di dar luogo alla formazione del giudicato sulla specifica problematica non adeguatamente motivata in sede di emanazione del titolo.
La mancanza di contraddittorio, anche successivo al formarsi del titolo, impatta sulla tutela concessa al consumatore, rendendo dunque necessario un diverso approccio processuale al fine di assicurare la piena tutela del consumatore.
Così stando le cose sorge l’esigenza di rinvenire, stante il principio di autonomia procedurale degli Stati membri, un’idonea soluzione al caso facendo ricorso agli istituti del diritto processuale già presenti all’interno del diritto nazionale, individuando la giusta disciplina capace di raggiungere lo scopo prefissato.
A tal proposito i commentatori hanno proposto varie tesi, le quali possono essere grosso modo ricondotte nell’alveo di due macro-categorie: il c.d. “seguito per il futuro”, che fa leva sull’obbligo di motivazione specifico sull’abusività delle clausole contrattuali e, eventualmente, l’utilizzo del rimedio ex 615 c.p.c. in fase esecutiva, e la diversa teoria del “seguito per il passato”.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover privilegiare quest’ultima impostazione, sulla scorta del rilievo per cui le sentenze interpretative della CGUE hanno carattere retroattivo, impongono dunque di rinvenire una soluzione valida tanto per i giudizi instaurandi che per quelli già incardinati.
La soluzione proposta è dunque quella per cui il giudice adito per l’emissione del decreto ingiuntivo ha lo specifico obbligo di rilevare, d’ufficio, l’eventuale abusività delle clausole contrattuali, anche adottando i poteri di cui all’art. 640 c.p.c., a tal motivando in maniera specifica nell’atto emesso.
All’esito il Giudice potrà rigettare parzialmente o totalmente la richiesta di parte attrice, laddove vengano rilevati dei profili di abusività delle clausole.
In assenza di tale motivazione il Giudice dell’Esecuzione dovrà, nel contraddittorio delle parti, procedere ad una sommaria istruttoria volta ad accertare la presenza o meno di detti profili di abusività.
All’esito eventualmente positivo di tale istruttoria il Giudice dell’Esecuzione informerà le parti ed avviserà il debitore consumatore della possibilità, entro 40 giorni, al solo scopo di far valere il carattere abusivo delle clausole, attivando la nullità di protezione attraverso lo strumento dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., durante tale lasso di tempo il giudice dell’esecuzione si asterrà dalla vendita o dall’assegnazione del bene.
Qualora, invece, il debitore esecutato abbia già proposto opposizione ex art. 615 c.1 il Giudice riqualificherà tale opposizione come opposizione tardiva, dando termine di 40 giorni per la riassunzione, con conseguente transaltio iudicii come nel caso precedente.
La disciplina anzi descritta necessita, tuttavia, di alcuni adeguamenti di diritto processuale, così sintetizzabili:
- La carenza di motivazione in merito all’abusività delle clausole deve essere ricondotta nell’alveo di “caso fortuito o forza maggiore”, le quali danno facoltà al debitore di proporre opposizione tardiva;
- L’ulteriore adeguamento necessario è la totale disapplicazione dell’ultimo comma dell’art. 650 c.p.c. a favore del termine di 40 giorni imposto dal diverso art. 641 c.p.c..
La soluzione proposta, rispetto alla diversa ipotesi dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., si configura come la più rispettosa della normativa nazionale e europea, concedendo al consumatore la piena ed effettiva tutela a cui ha diritto, instaurando un giudizio a cognizione piena e non deformalizzata, com’è quella del giudizio di esecuzione.
La garanzia del pieno contraddittorio tra le parti data dall’opposizione tardiva restituisce al consumatore debitore la piena tutela della sua posizione, anche in virtù del diverso rilievo che hanno le pronunce del G.E. e del Giudice del monitorio (una eminentemente endoprocedimentale, l’altra suscettibile di formazione del giudicato).
Sotto il diverso profilo della ragionevole durata del processo, la soluzione del “seguito per il passato” si presenta ancora una volta come la più adeguata, avendo uno spatium deliberandi ben preciso dato dal termine di cui all’art. 641 c.p.c. dal momento in cui il G.E. avvisa il debitore, mentre l’opposizione alla procedura esecutiva potrebbe essere azionata sino all’eventuale provvedimento di assegnazione del bene o di vendita dello stesso.
La pronuncia in oggetto ha un’importanza non indifferente, collocandosi nell’alveo delle pronunce tese all’armonizzazione della normativa, in questo caso procedurale, nazionale con la normativa europea, pur in accordo con gli istituti processuali già esistenti.
Le pronunce di maggio 2022 della CGUE, infatti, hanno fatto il punto sulla tutela da assicurare al consumatore nei contratti con i professionisti, con particolare riguardo a quelle che si considerano clausole abusive.
Nel caso in cui un provvedimento venisse emanato, senza che il giudice motivi esplicitamente sulle clausole di cui sopra, infatti, il consumatore, parte debole del contratto, si troverebbe sfornito di quegli elementi necessari ad orientare la sua decisione sull’opportunità o meno di proporre opposizione al decreto ingiuntivo emesso.
Un ordinamento che dia per scontato l’avvenuto esame delle clausole contrattuali, anche in assenza di una motivazione in tal senso, si pone in contrasto con la protezione accordata al consumatore, svuotando di significato la nullità di protezione atta a concretizzare la tutela verso il debitore/consumatore.
La pronuncia riscrive parzialmente, inoltre, gli strumenti di tutela predisposti per il consumatore, parte debole dei contratti, al fine di assicurargli una tutela sempre più aderente al dettato della normativa Europea.
Scegliendo l’opzione dell’opposizione tardiva ex 650 c.p.c., infatti, la Corte di Cassazione ha agito su due piani distinti: quello dell’effettività della tutela e quello della giusta durata del processo.
Sotto il primo aspetto è innegabile che l’opposizione ex art. 650 c.p.c. consenta al debitore/consumatore di svolgere compiutamente la propria difesa, atteso che l’istituto in questione è caratterizzato dall’essere a cognizione piena e dall’avere un’istruttoria formalizzata, caratteristiche che invece mancano all’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.
Sempre avendo riguardo all’effettività della tutela concessa dobbiamo rilevare che la pronuncia emessa a seguito dell’opposizione di cui sopra è suscettibile di formazione del giudicato, diversamente da una pronuncia all’interno di un’opposizione all’esecuzione.
Da ultimo, non di poco conto, è il rilievo per cui l’opposizione tardiva può essere proposta solo secondo una rigida scadenza, a differenza dell’opposizione all’esecuzione che, come detto sopra, può essere proposta sino all’ordinanza di assegnazione o vendita.
Con la pronuncia in commento, dunque, la Suprema Corte ottiene il duplice obiettivo di armonizzare la normativa procedurale italiana con il dettato normativo europeo da una parte e, dall’altra, quello di rinsaldare e meglio delineare gli strumenti posti a tutela del consumatore.
Commento Avv. Carlo Cavalletti
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