Diritto al risarcimento per ingiusta detenzione (Corte di Cassazione, Sezione Penale n. 20010 del 6 luglio 2020).
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Diritto al risarcimento per ingiusta detenzione..[..]
- Data:20 Luglio
Il caso riguardava un soggetto, condannato, per turbativa d'asta, in base all'art 353 del codice penale comma 1, con esclusione dell'aggravante di cui al comma 2 del medesimo articolo.
L'uomo ricorreva ed in sede di merito gli veniva riconosciuto un indennizzo pari ad € 3.100,00 per ingiusta detenzione, patita nella misura di 31 giorni, corrispondente alla differenza tra la custodia cautelare sofferta (prima in carcere e poi agli arresti domiciliari) per 5 mesi e un giorno e la pena di 4 mesi inflitta definitivamente.
La vicenda giungeva dinanzi alla Suprema Corte dove l'uomo rilevava come la motivazione della Corte di Appello fosse contraddittoria ed illogica.
Secondo il ricorrente, infatti, la Corte non aveva considerato che, per il reato in questione, non era prevista l'applicazione della misura in carcere.
Gli Ermellini accoglievano il ricorso ritenendolo fondato.
I Giudici supremi rilevavano, infatti, che l'uomo aveva patito la misura della custodia, in carcere e poi agli arresti domiciliari, in relazione al delitto aggravato di cui all'art. 353 c.p. secondo comma, condannato poi alla reclusione di mesi 4 con sospensione per il delitto di cui all'art 353 c.p. comma 1.
La Corte rimarcava che l'art 314 c.p. comma 2 riconosce il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione anche al soggetto condannato che, nel corso del processo, sia stato sottoposto a misura cautelare quando venga accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso in assenza dei presupposti.
La custodia in carcere, infatti, è prevista per i delitti o reati per i quali la pena alla reclusione sia non inferiore a 5 anni.
In sostanza, nel caso di specie, la Corte ha affermato che è ingiusta ab origine la detenzione per un fatto che determina la commissione di un reato per il quale è esclusa la detenzione cautelare in quanto la pena edittale massima risulta inferiore a 5 anni.
A nulla rilevando l'eventuale sospensione condizionale della pena.
Commento dell'Avv. Carlo Cavalletti iscritto Albo Cassazionisti
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